sabato 28 agosto 2010

L'azzurro lago di VAN ... Turchia dell'est

11 agosto 2010

strade dell'est... cantava Battiato... e ci siamo dentro! Sapore di storia, profumo di antico, polvere secca di passato, immagini di una terra mistica...
Anche oggi la sveglia suona presto, per andare al lago di Van dobbiamo raggiungere DiYarbakir e cambiare. Sarà un viaggio lunghino. Da qui non c'erano bus notturni, fa niente vedremo un pò di panorami strada facendo.
Prendiamo il dolmus, il piccolo pullmino, che dal paese vecchio ci porta alla città nuova. Ci fermiamo nell'agenzia per fare i biglietti. Ci fanno posare i bagagli e sedere con calma. L'autista è già lì e suo tempo partiremo.
L'accoglienza curda è qualcosa su cui possiamo sempre contare e anche questa volta abbiamo l'ennesima prova. Non abbiamo avuto il tempo di fare colazione. L'autista nel minuscolo retro dell'agenzia ha tirato fuori su un tavolino una specie di pane dolce, uva e cay, che non manca di offrirci. Ci fa sedere davanti, in prima fila, nel suo dolmus nuovo e decorato con pizzi che scendono dal tettuccio. Kitch quanto basta con vari pensagli, luci e tappetini....
L'autista, a parte gentile come tutti, è anche un pò marpione. Mentre lascia la mano sul cambio mi tocca la gamba. Guida molto piano per una strada dritta e deserta, credo per il ripetto del limite. Si ferma per far salire o scendere persone in posti apparentemete isolati dal resto del mondo. Ci si ferma anche in una piccola area per bere e andare ai servizi. Ne approfitto per cambiar posto e lasciare Alessio a fianco a lui, va bè può sempre toccare la sua gamba! ; )
Un paio d'ore ci portano a Diyarbakir, capitale curda per eccellenza, almeno ideologicamente. Siamo nella stazione centrale dei bus, l'otogar, un pò fuori dal paese. Della città vediamo quasi nulla.... dalle poche immagini è chiaro che l'epoca di splendore è finita da un pezzo..
Ci sono tante agenzie che fanno i biglietti e qualche negozietto. Facilmente troviamo un bus che parte oggi tra un'oretta e mezza e facciamo subito i biglietti. Sarebbe stato senz'altro interessante vedere Diyarbakir ma non ne abbiamo il tempo. Mangiamo qualcosa in un baretto vicino e telefoniamo a casa da un bar che ha una grossa tenda improvvisata....
Qualche bambino gironzola con una bilancia e fazzoletti di carta che cerca di vendere. Sono i primi che vedo vendere qualcosa. Non sono nemmeno insistenti, ma qui siamo gli unici stranieri e attiriamo l'attenzione, così in poco tempo siamo circondati da questo gruppetto di maschietti. Tutti mi dicono che ho degli occhiali da vista enormi e ridono. Devono trovarmi buffa, oddio pure in Italia ridono per i miei occhiali. Provano un paio di volte a chiedere se vogliamo i fazzoletti, ma poi non insistono. Siccome se ne stanno lì a giocherellare intorno finiamo per dar loro i pastelli che abbiamo portato, apposta per qualche bambino. Felici ringraziano e ci chiedono i nostri nomi. Ci chiedono a gesti se siamo sposati o qualcosa del genere. Su una mattonella ci scrivono: Alesyo (poi disegnano un cuore trafitto) e scrivono accanto Dyana. Che teneri....
Ci ripariamo un pò all'ombra nell'agenzia. Anche se tra gli adulti non c'è nessuno che parla inglese cercano di aprire un dialogo. Come al solito parlano in turco e ci fanno domande, eh.. noi diamo la solita risposta: Italia, e loro ripetono "Ah, Italia". Come mi aspettavo continuano a fare domande allora ci alziamo verso la cartina e ripetiamo i paesi in cui siamo stati "Urfa, Harran, Nemrut Dagi, Mardin" .. "van". a gesti si cerca di comunicare. Fa piacere vedere che tutti ci sorridono allegri e a loro modo ci fanno sentire accolti con grande affetto...
Una delle cose strane in Turchia sono le fermate. Non si sa mai dove ti portano a prendere il bus!!!
Poi a volte sono compresi altri tratti in bus, alle volte no, vedremo questa volta dove si va.
Radunano i passeggeri che vanno verso Van. Prendiamo le valigie e immagino che il bus sia appena arrivato o quanto meno stia per arrivare. Invece no, tutti in fila seguiamo il ragazzo dell'agenzia che cammina cammina. Attraversa la strada e tutto un campo, noi dietro con le valigie muti e in fila. Si cammina anche sui binari del treno. Arriviamo al ciglio della strada e ci fa aspettare sotto l'ombra degli alberi, su una via molto grande e trafficata......


Dopo qualche minuto ecco il bus, attraversiamo la strada e ci fa salire. Sono le 13.00, arriveremo per le 21.00, sono 8 ore di trasferimento.
A bordo come al solito c'è il ragazzo che distribuisce bevande. Siccome siamo in periodo di ramadam, non passa, ma bisogna chiedere visto che anziani, bambini e malati sono esonerati.
Vedo che a parte noi tutti rispettano il digiuno. Solo ad un'anziana signora è fatta eccezione, non sembra molto in forma, tra l'altro.
Le strade sono sempre in buono stato. Le stanno rifacendo tutte a due corsie. Verso il lago troviamo qualche deviazione in corso, ma nulla che ci faccia rallentare troppo. Stiamo andando verso le montagne e la strada che segue un bel fiume sale lentamente.
E' bello avere la possibilità di osservare il panorama che cambia. Ci si ferma in diverse aree per cambiare autista e andare ai servizi. Qui mi accorgo che la zona è molto religiosa e conservatrice. Appena entro in bagno vengo sgridata da una donna che tocca con vigore le mie braccia, nude, e che grida Ramazan tra le altre parole turche. La guardo un pò stupita, va bè ho scarpe da tennis e la gonna fino a piedi. Ho appena le maniche corte. Le altre donne non sembrano solidali, mi guardano come fossi un alieno. Solo una ride e dice alla signora che sono una turista. va bè ma sono Cristiana Cattolica, che centra il turismo, potevo essere anche musulmana, induista o atea. Esco che mi sento gli occhi addosso. Le donne sono super coperte e mi sembra che così do troppo nell'occhio. Gli uomini del bar stanno lavando le sedie nella fontana. Entiamo a comprare qualcosa da sgranocchiare nel negozietto a fianco e risaliamo in bus. Strani rotoli di noci e miele, o qualcosa che somiglia. Questa è l'unica volta in cui ricevo un'osservazione, ma siamo in pieno curdistan tra le montagne e ce da capire il contesto..
Ripartiamo...i panorami sono piacevoli tra le montagne dai colori caldi e le forme soffici. Presto arriviamo a costeggiare il lago. L'altezza è sui 1.700 metri ed intorno solo montagne.
La prima vista del lago sembra un miraggio. All'ora del tramonto i colori si accendono e le acque azzurrine hanno mille riflessi.





Appena sono le 19.30 quasi il conducente inchioda davanti a un ristorante sul lago perchè è finito il ramadam. Si scende nell'euforia generale e mangiamo anche noi. Siamo serviti alla velocità della luce. Insalata, un piatto di carne a testa, formaggio locale, immancabile cay, acqua e ayran per pasteggiare. Sto diventando curda!
Il viaggio prosegue tra tratti collinari e strada lacustre. C'è ancora un pò di strada da fare. A primo acchitto sembra un posto incantevole. Son felice di essere arrivata qui. Nel campi intorno tante mucche, capre e pecore. Intuisco che il cibo sarà buono.
Arriviamo alla città di Van alle 21.00 e prendiamo il primo hotel che troviamo. E' un bell'hotel davvero, Hotel Yakurt. La doppia costa 45,00 euro, il prezzo è buono, la camera è tripla, spaziosa e molto bella. La posizione è centrale. Dopo Mardin mi sembra un lusso sfrenato!
Senza perdere tempo ci docciamo, lasciamo le valigie e facciamo un giro per le strade della città. C'è un sacco di gente in giro, forse anche per il ramazan visto ch mangiano di notte e non durante il giorno. La città ha una lunga strada principale, con mille negozi e bar illuminati. Nelle vie che la tagliano lateralmente sembra tutta un'altra storia. A primo sguardo sembra che la via principale sia quasi tutto quel che c'è. Facciamo solo una passeggiata. Io mi gusto un gelato, sempre buono. Ci fermiamo in uno dei parchi con servizo bar. Camerieri con vassoi di cay che passano in continuazione tra le panche e i cespugli di rose. E' un angolino di pace molto carino.
Andiamo a nanna presto, dopo aver trovato il bus che domani ci porta sul lago per vedere l'isola di Akdamar!

MARDIN Mesopotamia TURCHIA 2010






10 agosto 2010



Stamane lasciamo Urfa, anche se ormai ci sentivamo a casa e soprattutto affezionata alle carpe sacre, le mie carpine, per andare a Mardin. Questa città è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio culturale dell’umanità. Fino a poco tempo fa, mi dicono, era chiusa al turismo per via delle tensioni tra governo e Pkk. Volevo farla in giornata ma non è così vicina, sono ben 175 km. Cercheremo un hotel per la notte. Ho sentito che è una cittadina molto carina e son curiosa di vedere com'è. Il fatto che non sia da molto aperta al turismo mi affascina. Spero sia rimasta genuina. Volevamo andare anche ad Hasankief, ma è crollato un masso grande nel fiume e han chiuso il castello. Ci porterebbe fuori strada anche, così un pò a malincuore, decidiamo di saltarla.
Ci si alza presto, una bella colazione, un pò di cay bello caldo e si parte. Prima Aziz dice che dobbiamo prendere un taxi, ma poi usciti dalla sua guest house facciamo 20 metri e lo sentiamo che ci chiama e ci da un passaggio. I curdi sono speciali, ci ha ripensato, lo sapevo! Ci accompagna alla Otogar dei pullman che si trova a 7 chilometri dal centro, perchè l'hanno rifatta poco tempo fa fuori dal paese. Ci augura buon viaggio, ci saluta e aspetta che arrivi il nostro bus. Fatti i biglietti radunano in gruppo chi, come noi, va a Mardin. Siamo in sette, bene, ci caricano su un'auto. Si, noi sette e il conducente. Non capisco come riescono ad incastrarci tutti con zaini e bagagli, ma ce la facciamo. Cose turche! A volte prendi il bus nelle fermate principali fuori dal paese a volte, invece, ti caricano e ti portano ad altre fermate.
Arriviamo dopo pochi minuti, per fortuna, visto che siamo così incastrati che quasi dubito di riuscire a scendere prima o poi. Il pullman è appena arrivato, carica le nostre valige e parte. Prendiamo il bus da Urfa alle 9.00 e in tre ore siamo a Mardin. E' mezzogiorno. Come sempre è una giornata limpidissima, sole e cielo blu. Arriviamo alla città nuova di Mardin e andiamo ad informarci per il bus che ci porterà a Van domani. Bene il ragazzo dell'unica agenzia non parla inglese e nessuno dei presenti. Ok parto con il mio mimo "Van golu".. "bus".. bene ci scrive l'orario di partenza su un pezzo di carta e ci mima che dobbiamo tornare a Diyarbakir e il bus c'è domani. Va bene cercheremo un hotel e restiamo per la notte, domani faremo i biglietti. Ci scrive su pezzo di carta il nome di un hotel e ci indica la fermata per il paese vecchio.

MARDIN

Armati dei nostri bagagli prendiamo il pullmino che porta nella cittadella, che si sviluppa tutta intorno sulla cima della montagna. Appena saliti abbiamo gli occhi addoso. Occhi curiosi e genuini che subito dopo ci chiedono di dove siamo. In turco ovviamente e non so se la domanda era quella, ma rispondiamo "Italia" e tutti sorridono ripetendo "ah Italia"... C'è una sensazione di amicizia unica, come se in questo paesino ci si conoscesse tutti. Molte donne mi fanno sorrisi e guardano cusiose, quando noi osserviamo loro. Quando scendono ci salutano e ancora una volta capisco che qui l'arrivo di uno straniero è ancora un piccolo evento. Ci si sente davvero ospiti da queste parti. Piccoli avvenimenti che ti fanno sentire benuto. Tutti sul bus sanno in che hotel andiamo e solita cortesia si ferma davanti per farci scendere. Qui non ci sono mai le fermate, la gente alza la mano e scende dove vuole. Tanto il dolmus va avanti e indietro tutto il giorno e un bus si trova sempre.
Il primo colpo d'occhio ci colpisce subito. Unico nel suo genere, per ora, questo paesino è completamente costruito in roccia chiara, di un colore caldo, quasi miele. Costruzioni che quasi si confondono con il colore della terra arida. Le case sono bellissime, finemente decorate e intagliate. L'architettura di questo paese è davvero deliziosa. Siamo in mesopotamia e qui la storia è ovunque, così come le sue lontane testimonianze.
Le case sono aggrappate al promontorio secco e si sviluppano a gradoni. Il paese è ricco di moschee, madrasse e chiese. Siamo a 1.083 metri di altitudine e il panorama sulla pianura mesopotamica è superbo. Ovviamente ci sono i soliti quaranta gradi secchi secchi ed un bel sole a picco. La grande distesa mesopotamica è colorata a scacchi verdi e gialli. E io che la immaginavo completamente gialla e sterile. Si estende davanti ai nostri occhi e scompare lontano, in una lieve foschia.
L'hotel da fuori non sembra male, è in una bella posizione ed è economico. Le solite 25 lire turche a testa, 13 euro. Si chiama Basak Otel. Non lo consiglierei nemmeno ad un cieco. Il bagno è in comune con tutto il piano dell'hotel, la finestra della doccia da sul corridoio ed è inguardabile anche da lontano. Per una notte possiamo farcela, ma da evitare. Un ragazzo turco, poverino, non vedente ha la camera con le finestre che danno sul corridoio. Forse ignaro dorme con la finestra aperta. Vado a fare la doccia in un locale che anche nel terzo mondo sarebbe considerato fatiscente. Esco e trovo Alessio di fianco ad un ragazzo che lava i piedi nel lavandino. Lo guardo un pò scioccata, ah è il ragazzo non vedente, poverino.
Usciamo dal nostro polveroso hotel per fare un giro per questo pomeriggio assolato e caldo. La tranquillità di questo paese è sorpredente. Il paesino è arroccato su per il pendio con case ammassate su di loro, tutte in pietra calcarea decorata che guardano verso la Siria. Ci sono tante terrazzine per bere cay. Per prima cosa ci concediamo un tè con magnifica vista sulla Mesopotamia. Stare qui in relax a gustare il cay con questa vista mi ripagherebbe di ogni fatica! E' un posto unico!

Riprendendo a camminare senza meta ci ritroviamo davanti ad un bellissimo edificio. Per oggi abbiamo abbandonato qualsiasi guida, voglio fare un gior e vedere senza un itinerario preciso, a caso. Vedono che curioso tra la porta aperta e subito ci invitano ad entrare. E' l'UFFICIO POSTALE del paese, nonchè un ex caravanserraglio del diciasettesiamo secolo. Probabilmente è l'uffico postale più bello del mondo, o almeno della Turchia. Una bella scalinata sempre in pietra porta a delle stanze con porte e finestre finemente intagliate. Uno stile davvero elegante. Penso a quando le carovane si fermavano qui e forse la vita era semplice ma molto bella.
Proseguendo il cammino per le vie di Mardin, cammino guardando in aria per ammirare le decorazioni in pietra e penso a come doveva essere nel passato durante le varie dinastie. Fu voluta da Saladino, posseduta da Tamerlano e dai persiani. Fu attaccata dagli Omayyadi e Abbassidi, sciiti e curdi sunniti, Selgiuchidi e Turcomanni. Una vita turbolenta a pensarci bene. Mardin era chiusa al turisto fino a poco tempo fa per gli scontri del Pkk, ma in questo pomeriggio dorato la vita qui sembra così tranquilla e bella, che proprio non riesco ad immaginare nulla di tutto ciò.
Gironzolando finiamo per esser presi per mano da alcuni bambini. Vogliono solo chiacchierare un pò, sanno l'inglese e si divertono a portarci in giro per il paesino per quelle strade che solo i bambini fanno. Ci portano prima in una moschea, accendono le luci, mi fanno togliere le scarpe e mi coprono il capo con una stoffa. All'interno delle tombe e l'impronta del profeta Maometto, protetta da una teca in vetro con dei buchini. I bambini mi fanno segno di annusare, ma non sento l'odore del piede, sinceramente.Forse era miracoloso o non so che.
Proseguiamo per stradine in salita verso i RESTI DEL CASTELLO SULLA COLLINA. Pare che questi resti abbiano 3.000 anni. Dobbiamo anche scappare perchè c'è un cane randagio che ci ringhia dietro. Fare la strada principale comoda comoda no? Va bè alla fine è divertente arrivare in cima un pò all'avventura tra strade secondarie, gradoni che devo salire e giocando con i bambini che si divertono a indicarci la strada.
Parte del castello è zona militare, perchè punto strategico da cui si vede fino alla Siria. In un luogo così bello, proprio non riesco a pensare ad una guerra, eppure fino a poco tempo fa era una zona molto calda. Da su il panorama è particolarmente bello con il paese di pietra dorata che si estende ai nostri piedi, le terrazzine, le cupole e i minareti affacciati sulla grande pianura Mesopotamica. Cupole di ogni forma, così eleganti nei loro profili mordibi. Minareti decorati si stagliano verso la pianura a scacchi davanti a noi. I bambini si divertono a guardare nell'obbiettivo della nostra macchina. Ci danno il loro indirizzo di facebook per mandar loro le foto! Dovunque in Turchia amano le fotografie.

Saltando giù da un paio di gradoni arriviamo all'ingresso della grande moschea la Ulu Camii dalla bella cupola di pietra a spicchi isale all'epoca selgiuchida (XI secolo) e il minareto sulla mesopotamia, che per la foschia non ne vediamo la fine. Nel chiosto della moschea un pò di verde, una fontana ed archi da cui si vede sempre questo bel panorama. La guardia viene a chiedere la nostra nazionalità per regnarla a penna su un registo e cordialmente saluta. In una delle sale della moschea le colonne sono progettare per resistere ai terremoti, perchè sono girevoli. Qui i terremoti sono di casa e in questo modo si conserva l'edifico intatto, che resiste alle scosse. Fantastico. C'è sempre da imparare. I bambini ci avevano aspettato fuori, ma poi entrano a bere dalla fontana e insieme usciamo. Ancora qualche gradone bello alto da saltare e siamo giù. Non hanno notato che non sono così agile con tanto di zaino per macchina fotografica? Poi ci salutano sorridenti e ci augurano buon viaggio, mentre tornano a giocare dagli amici.

Facciamo un giro per il BAZAR. Uomini vestiti in modo tradizionale con gilet, sciarpa in testa e pantaloni con cavallo molto basso. Diversi usano degli asini bianchi, su e giù per le vie a gradoni di questo bazar all'aperto. Un vero bazar! Qui i negozi sono quasi solo alimentari. Nessuno ti chiama per vendere. Passeggiamo tra minuscole botteghe che si susseguono per la strada a tratti gradinosa, a tratti sterrata. Si lavora la lana, si riparano le selle, si vendono te, saponi, frutta secca, formaggi e carni, carcasse di aninali e teste di pecore. Davvero particolare e autentico con le vie che salgono e scendono. Compriamo un pò di tè, un sapone alla mandorla e delle mandorle tostate.

C'è anche un Museo archeologico che raccoglie ritrovamenti della regione, ma non lo visitiamo.

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Tornati per le vie centrali siamo nella piazza con dei taxi. Decidiamo di andare a vedere l'antico monastero Deir Az-Zafaran, di rito siriano ortodosso. E' stato distrutto e riedificato più volte dopo le conquiste dei siriani e dei mongoli ed oggi è un importante collegio per studiosi. Una delle tante leggende dice che sia sacro perchè edificato sulla pietra che usò Pietro dopo le parole di Gesù "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa."
La presenza di questo genere di monastero non è così insolita. Qui ci sono diversi monasteri cristiani. Quello che visitiamo si trova a 7 km e la lingua liturgica è ancora l'aramaico. Contrattiamo con un taxi l'andata e ritorno, compreso il tempo di aspettare che facciamo la nostra visita. Arrivati c'è una guida che spiega, ma solo in turco. Così mi aggrego a due viaggiatori: un ragazzo americano che fa il giro con un turco che da anni vive in germania, un suo amico. Così sento la spiegazione in tedesco. Il monastero risale a 397. Nel passato era utilizzato dai romani come fortezza, fu in seguito un Monastero e sede del Patriarcato della Chiesa siriaco ortodossa. Il colore delle pietre che lo componfono e i fiori di zafferano che crescono intorno gli hanno dato il nome: Deyrul Zafaran, zafferano appunto. Leggende popolari dicono che lo stesso zafferano fu mescolato alla malta, per dare questo bel colore caldo. Quanto mi piacciono le leggende e da queste parti se ne sentono molte. Il monastero sorge sulle rovine di un templio degli adoratori del sole.
Si trova un pò isolato e da qui si vede tutta la cittadella di Mardin a ridosso della montagna. All'ingresso vedo delle foto invernali, sotto la neve è davvero magico questo monastero.


monastero Deir Az-Zafaran



MARDIN
Ripreso il taxi torniamo in città per fare due passi e goderci il tramonto. Ci sistemiamo su una delle terrazzine panoramiche. Ci gustiamo due cay, io lo prendo alla mela, il mio preferito. E' proprio un angolino delizioso. I minareti decorati e le cupole arricchiscono il panorama. Con il il tramonto, il sole colora il cielo e la leggera foschia sfuma i contorni di alture lontane. Molti gli uccelli che volano in cielo e gli acquiloni. La luce aranciata e calda colora le pietre dorate dei minareti sulla mesopotamia. Un bel tramonto davvero. Sono contentissima di essere rimasta per la notte, adoro questo paesino così vero, antico e rilassante. Adoro l'atmosfera magica.

Per cena ci fermiamo in un posto molto locale e ci godiamo una bella cenetta. Insalata di pomodori con tanto di salsa al melograno, zuppa locale, due piatti di carne con verdure di diverso tipo, riso in bianco e ayran da bere. Ottimo e abbondante. Torniamo a passeggiare per le viette, ora buie della sera.
Anche se qui c'è ancora chi parla l'aramaico non trovo nessuno per conversare sulla lingua di Gesù o per avere maggiori informazioni. La lingua di Gesù?! e dei siri, che un tempo erano gli assiri della Mezzaluna fertile. Magari siamo noi che non ne riconosciamo il suono. Trovo che in aramaico Mardin è formata da "Din" che vuol dire religione e da "Mar" che significa santo.
Dopo cena un cay e ci incamminiamo verso l'hotel. Troviamo ancora i bambini di oggi che ci salutano e dicono che stanno tornando a casa per andare a dormire. Che carini. Andiamo a nanna anche noi. Domani partiamo alla volta di Van. Laghetto arrivooooo ! il viaggio continua !


qualche scatto di Mardin

NEMRUT DAGI le rovine del regno perduto di Commagene TURCHIA

9 agosto 2010

Oggi andiamo, sempre con Aziz, alla scoperta del Nemrut Dagi e delle rovine del regno perduto di Commagene. Qui, nel 62 a.C., re Antioco I costruisce un misterioso santuario reale: colossali statue di aquile e leoni, di dei greci e persiani, oltre a due enormi sculture rappresentanti lo stesso re. Adrian Gilbert nel suo libro "The Quest for a Secret Tradition" spiega che " Quello che Antioco stava cercando di fare era produrre una sintesi, una nuova versione delle vecchie religioni e ciò che fece, in sostanza, fu vestire gli dei persiani come quelli greci. E' così che si ottiene la sintesi delle divinità dei due popoli." Costruì una colossale statua di se stesso tra gli dei. Ho desiderato così tanto arrivare fin qui e raggiungere la sua vetta, sono emozionata. Archeologia, storia e miti si fondono...
Solita sveglia alle 7.00, colazione e doccia. Un tè turco bello carico, frutta. Alle otto puntuali partiamo e subito Aziz ci delizia di un contromano e una rotonda presa al contrario, iniziamo bene. I chilometri per raggiungere il Nemrut sono 150. Faremo comunque delle tappe intermedie perchè ci sono un sacco di altre cose da vedere.
Come gli altri giorni il tempo è bellissimo e nel cielo non c'è una nuvola.
La prima tappa è un punto sopraelevato dal quale si ammira la grande diga di Ataturk che da 15 anni fornisce acqua a tutta la regione. Ha davvero cambiato l'economia e i volti di questi luoghi prima aridi, ora ben coltivati a cotone, grano, pistacchi, melograno, anguria e melone. Per fortuna i finanziatori han tagliato i fondi per la nuova diga che avrebbe distrutti paesini storici unici, come Hasankief.
Ma come si fa a voler sommergere questi villaggi trasudandi di storia, così antici e umili? Mi si spezza il cuore... La strada che percorriamo attraversa appezzamenti di terreno verdi e gialli, grano tagliato e coltivazioni. La grande diga si intravede sempre, sembra un grande lago blu.
A Katha, l'ultimo paese prima del monte Nemrut, ci fermiamo solo per prendere da bere per il viaggio.
Proseguendo la strada inzia a salire dolcemente e la prossima sosta dopo una decina di chilometri è la tomba del tumulo Karakus Tepesi eretto dal re Mitridate II di Commagene per sua madre Isias, alla figlia ed una nipote. E' piccolo e semplice, ma ugualmente affascinante. Il tumulo sepolcrale è alto 35 metri ed ha un diametro di 100 metri circa. Aveva 18 colonne di altezza dieci metri con un'aquila romana sulla sommità. Ora ne è rimasta una sola e l'usura del tempo l'ha danneggiata... ne fa solo immaginare l'orginaria bellezza. Altre 6 colonne alte circa cinque metri ornavano questo sito, ora solo 2 sono rimaste. Una colonna porta in cima un leone e una un toro. Il panorama qui è collinare, si vedono i dintorni e le montagne, in questa mattina assolata e deserta sembra quasi un luogo sconosciuto. Solo silenzio e vento per le strade deserte, sembra di andare in avanscoperta. Incontriamo solo un bus organizzato che torna dall'alba al Nemrut e due chiacchiere fa sempre piacere scambiarle con i pochi turisti che si vedono qui in giro.

Proseguendo per la strada passiamo sul ponte romano Chabinas, costruito nel II secolo sulla gola del fiume Cendere Suyu, dalla Legio XVI Flavia Firma in onore di Settimio Severo, di sua moglie Giulia Domna e dei figli Geta e Caracalla. Il ponte è stato ben restaurato, è carino anche se così nuovo perde quel fascino di antico. Da l'idea di come doveva essere un tempo. E' lungo 150 metri e largo 7 con quattro colonne alte 10 metri alle estremità del ponte. Queste sono originali. Ora ce ne sono solo 3 perchè una è stata distrutta, quella in onore del figlio Geta assassinato dal fratello nel 212.
La gola in cui si trova il ponte è molto bella e anche il fiume è invitante. C'è solo una famiglia che sta facendo pic nic.















La sosta pranzo la passiamo nell'antica Katha. Siamo a 71 km dal Monte Nemrut. ... villaggio antico e ora desolato che mi affascina tanto. C'è una fortezza sulla sommità che domina il paesino, una manciata di case che sembrano dimenticate dal resto del mondo. E' Yenikale (Castello Nuovo) costruito dai Mammelucchi.
Ci fermiamo in un baretto per bere e mangiare qualcosa. Il piccolo villaggio è lì sul monte, tra piccole stalle, mucche e galline ruspanti che in questa giornata limpida e silenziosa paiono gli unici abitanti. Invece no, un abitante vedendoci in giro a zonzo per il paese ci accompagna e ci ospita a casa sua per una piccola sosta , ci parla solo in curdo e gentilmente ci offre cay e uva. L'accoglienza in questo paese è unica. Parla tutto il tempo, ci mostra delle foto. A volte sarebbe carino capire cosa ci dicono. Noi ripetiamo sempre Italia, urfa e Nemrut. Va bè cerchiamo di dire qualcosa.
Ci congediamo, ringraziamo e uscendo da casa ritroviamo Aziz ci porta sotto in una gola dove scorre un fiume dal bel colore smeraldino e ci concediamo un bagno. Ci sono persino delle tartarughe. Cerchiamo un tratto un po' isolato, perchè ci sono dei ragazzi e delle ragazze che entrano vestire. Così visto che noi siamo in costume ce ne stiamo in una zona appartata.. E' uno scorcio estremamente bello in una gola qui nella mitica mesopotamia. Così non solo ho attraversato l'eufrate, ho fatto anche il bagno in mesopotamia, mica roba da poco.. Se non è roba da libri di storia questo, ditemelo!

Il viaggio continua e dopo questo bagno rigenerante si riprende la strada, sempre deserta. Inizia la salita sul monte più alto della mesopotamia, ma per arrivare alla meta finale ne manca di strada.
Arriviamo a Eski Kale, la città di Arsameia, un santuario funebre vicino a Kocahisar che venne costruito da Antioco I in onore del padre Mitridate I. Qui troviamo i primi turisti, asiatici che credono di salire su montagne alte 2.000 metri con ciabatte infradito ai piedi. Un sentiero pedonale sterrato in salita ci permette di raggiungere una piccola terrazza. Qui ci sono i resti di una iscrizione rupestre, in caratteri greci, che è stata ritrovata. Dei gradini scavati nella roccia portano ad un tunnel che scende per 158 metri. Solo una ventina di metri sono ora realmente praticabili. Chissà dove conduceva un tempo. Credo che Aziz si diverta dicendo agli asiatici che nel tunnel ci sono serpenti grandissimi. Questo tunnel passa lungo il versante della montagna, fa un angolo di 35° in orizzontale. Le analisi effettuate dai computer rivelano che in 2 giorni dell'anno i raggi del sole illuminano il fondo del condotto, una volta quando si allinea con la costellazione del Leone, e una volta quando si allinea con Orione, spettacolo. Questo punto nel cielo è interessante perché è quello in cui il Sole incrocia la Via Lattea, la nostra galassia. Per il mondo antico era considerata una delle porte che conducevano in cielo, che si trovano nel punto in cui le stelle si intersecano a nord e a sud. C'erano due porte per il cielo, perciò quel passaggio sarebbe stato il luogo per cui l'anima del re sarebbe ritornata nell'aldilà attraverso l'accesso al cielo Lasciamo il tunnel per ammirare il bel bassorilievo scolpito nella roccia, risalente al 50 a.C., che ritrae Mitridate I Callinicus che stringe la mano ad Eracle.
Si beve un cay sotto le tende del baretto sotto e si riparte di nuovo, curdi pieni di sorrisi sinceri e quattro chiacchiere.
La strada sale sempre più e verso la fine è in lastre di basalto e un po' ripida, richiede senz'altro attenzione, non ci sono protezioni. Ma non è nulla di così spaventoso, come ho letto da qualche parte.. guida di Aziz a parte. Siamo i primi a salire e la nostra macchina sembra guidata da un pazzo ovviamente, ecco quali sono i pericoli della turchia, altro che PKK, la guida turca è molto peggio! Mai visto Ale così spaventato!!
E' bella la sensazione salendo, sembra che ad ogni curva si arrivi e invece niente.... Sarà che ero impaziente e troppo curiosa, ma mi è sembrato di non arrivare mai. Ogni volta immaginavo di vedere la sommità e invece non si vede ancora niente. Si arriva in un punto in cui si parcheggia, c'è un baretto e si fanno gli ultimi 400 metri a piedi. Abbastanza ripido ma breve, una ventina di minuti intensi. La temperatura si vede subito che cambia, qui a 2.000 metri di altitudine. Il panorama ripaga senz'altro della fatica, si vede tutt'intorno, semplicemente maestoso e magnifico. Il vento soffia e contribuisce a dare una sensazione di isolamento. Si era scelto proprio un bel punto per vedere tutto il regno. Ma la cima ancora non si vede. E' solo muovendo i passi sugli gli scalini che portano alla terrazza che finalmente scorgiamo questo luogo mitico, in tutta la sua semplice e disarmante bellezza. Arrivati in cima si vede la montagna di sassi che sembra quasi una piramide con le statue e le teste di pietra chiara crollate a terra. Non immagino cosa deve aver provato chi l'ha scoperto per primo.... E' di un fascino incredibile. Le teste crepate in superficie sembrano avere le rughe, per il tempo passato... se ne stanno lì malinconiche, testimoni di un passato glorioso ormai finito... Per fortuna non c'è molta gente. Certo essere da soli qui dev'essere un'emozione indimenticabile, ma ad agosto pensare di trovare questo luogo mitico deserto, è un po' troppo.
Siamo a 2.150 metri e tutto il regno di Commagene è sotto i nostri occhi. Montagne marroni, arancine e toni persino del blu e del violetto si mescolano a profili affascinanti che si sfumano verso l'orizzone. Respirando intensamente mi guardo intorno alla ricerca di queste alture che si estendo a perdita d'occhio, si vede persino l'Eufrate! Penso a questo folle re che ora è ricordato per sempre. Mi immagino che sorrida, quasi, vedendoci qui.. come a dire che la sua gloria in fondo risorge ogni volta che qualcuno arriva fino a qui e si lascia affascinare dalla sua opera.
Qui, sulla sommità del Nemrut, si erge la tomba santuario del re Antioco I di Commagene. Il tumulo di pietra frantumata, di piccoli detriti di calcare, sembra una piramide di 150 m di diametro e 50 m di altezza, perfettamente geometrica. Incredibile essere di fronte a quest'opera di ben 2.000 anni fa.
Le statue sono sotto, in controluce e sembrano mitiche. Non posso far altro che ammirare stupita questa meraviglia.
I terremoti e le intemperie del tempo, nel corso dei secoli hanno danneggiato il sito e decapitato le statue. Le teste ora sono lì alla base del tumulo e lo rendono forse ancora più suggestivo. Pensare che dentro il luogo della sepoltura, che nonostante diversi tentativi, non è stato ancora esplorato perchè non ci sono ancora arrivati. Chissà che sorprese cela, geniale.
Le terrazze erano tre: terrazza nord, terrazza ovest e terrazza est.
Quella a nord è la peggio conservata. Era un punto di racconta per i pellegrini che salivano. Un leone e un'acquila di grandi dimensioni erano le statue all'entrata. Purtroppo non è rimasto nulla.
Noi siamo saliti dalla parte della terrazza est, quella orientale. Le statue sono 5 di un'altezza di 10 metri circa raffiguranti Antioco I, la dea Tyche, Zeus-Oromasde il padre degli dei, Apollo-Mithra-Helios-Ermes ed Eracle-Artagnes-Marte. Sono seduti con le mani sulle ginocchia. C'era un grande altare ed ora ne rimane il basamento. Le statue sono ben consevate, mentre le teste si sono rovinate molto.
Girando la cima arriviamo alla Terrazza ovest, quella occidentale. Ed è ancora una sorpresa più grande. Le statue sono simili, ma molto meglio consevate. Sono gli stessi personaggi perchè secondo la laggenda si svegliavano al'alba (quelle della terrazza est) e si ripietrificavano al tramonto (quelle della terrazza ovest). Era stato costruito doppio, in funzione del levar e del tramontar del sole, mitico. Il leone e l'aquila erano i simboli della dinastia di Commagene e chiudevano la scena, come guardiani ideali di questa tomba. Il leone re degli animali e l'acquila messaggera.
Vi è anche una lastra con in bassorilievo il "leone astrale", uno dei più antichi oroscopi del mondo. E' stato ritrovato persino il testo in greco del pensiero di Antioco I con la volontà di essere sepolto in questo luogo con tanto di riti da eseguire per onorarlo.
Il sole è ancora alto alto nel cielo e restiamo qui seduti ad ammirare questa meraviglia in attesa del tramonto. La fatica e la strada per raggiungere questo luogo valgono le emozioni che sto provando. Senz'altro è da vedere una volta nella vita. La mitica mesopotamia e le teste per terra sono ancora affascinanti sia nella luce violenta del giorno che in quella morente della sera. Mi dicono che un progetto le rimetterà su al loro posto, ma così sono forse ancor più belle.
Forse le statue complete renderanno l'idea originaria del sito, forse tornerò un giorno a rivederle.
Ora rimarrei qui ore, ci siamo rimasti due ore ma il tempo è davvero volato. Sono rimasta incantata a guardare queste teste verso il cielo blu, magnetico nella sua purezza.
Il sole comincia a scendere e a colorare il cielo. In lontanza i profili delle montagne sono avvolti da una foschia azzurrina con toni fino al violetto. Le teste sono baciate dalla luce rossastra e calda del tramonto. La grossa palla infuocata scende fino a somparire inghittita dal profilo nero deli monti, lasciando il cielo, per un pò, di un rosso fuoco.
... indimenticabile.... la sensazione di essere qui, guardare questo luogo mitico da quassù...

























Finito il tramonto ci incamminiamo muti al seguito di Aziz che agile scende dal sentierino. Ci sembra che parlando interromperemmo qualcosa di sacro. Lui ci viene due o tre volte la settimana, ma non gli chiedo se si è abituato a quella sensazione di star lì con le teste sulla cima del Nemrut. Ci aspetta una lunga strada per ritornare a casa. Ma i chilometri da percorrere in questo viaggio danno il tempo di pensare, di gustare, di guardagnare ogni meta con soddisfazione. Tre ore è il tempo che impieghiamo per ripercorrere i 150 km di strade a volte interrotte da lavori e non asfaltate.
Alle undici ritroviamo in guest house Ferida che ci aspetta per la cena e gli altri ospiti in relax. Divoriamo l'ultima cena di Urfa, beviamo il tè e dopo aver saldato il conto andiamo a letto. Domani si riparte. Destinazione Mardin.. E siamo solo all'inizio!